''Tempo che non porta da nessuna parte"- Poesie Arben Shehi


''Tempo che non porta da nessuna parte"- Poesie ARBEN SHEHI


Presentazione:
Mario Quatrucci (Robin Edizioni-2012)

http://www.libreriaprogetto.it/home/help/cerca-libro/scheda libro. html&ISBN =9788873719328

Dalla prima pagina, e poi quasi ad apertura di pagina, questa quarta raccolta di versi di Arben Shehi fa sentire il respiro del suo leitmotiv e squaderna il suo cuore: la nostalgia.
È un’elegia del tempo che fugge e che, come dirà nell’epilogo, appare senza scopo, senza alcun possibile avvento. Ed è la nostalgia del Poeta – del Poeta Shehi che parla ricorda e soffre in nome di tutti i Poeti della sua lingua e del mondo – per la sua terra perduta e per il suo amore che, senza morire, si disfa nel tempo privo di aspettative e di meta.
In realtà Shehi, voce vitale dell’Albania succeduta a quello “scherno di socialismo” che fu l’Albania di Enver Hoxha, e protagonista della vita culturale e politica dell’odierna democrazia, non è un esule che viva una disperata condizione di assenza e privazione: la sua terra è una patria perduta perché incompiuto è il suo sogno, perché l’esperienza della storia ha così deluso e tradito la sua speranza da lasciarlo, in solitudine e malinconia, col suo solo amore “senza limiti e speranze”. Così malinconico e solo da avere nostalgia perfino per il proprio dolore.
Impersonata volta a volta dalla città di Scutari (evidente allegoria di tutte le patrie del mondo) due volte tradita, o dalla sua donna e dal suo amore (richiamato sempre da un passato spesso remoto), o dai suoi figli, o dalla madre e dal padre, è la sua vita di uomo e di poeta che egli sente – a questo passaggio cruciale del tempo che gli è dato di vivere (nato nel ’54 Shehi si trova al culmine della propria esistenza) –, così come il tempo del mondo, non portare (perché non può) “da nessuna parte”: “Sul velo non più vergine del lago/dormono tristemente i pescatori./Con le reti vuote dalla notte assassina”.
Il suo dialogo con la morte, perciò, non è il drammatico o cupo o stoico commiato di uno che senta imminente l’evento al termine di una lotta furibonda con la vita e i suoi demoni ma, appunto, il malinconico rimpianto, la rêverie inestinguibile, per l’ombra autunnale in cui visse e vivrà, e che nessuna luce, né d’astro né di bachelardiana candela, ha potuto e potrà diradare. E per le cose che quell’ombra abitarono ed affollarono.
È il crepuscolo, dunque, l’argomento e la forma della poesia di Shehi: un crepuscolo che l’accompagna fin dalla giovinezza e, senza addensarsi e volgere al buio, permane. E non è quindi un caso che tutto nei suoi versi avvenga – tutto ciò che è rilevante per la sua anima, naturalmente – come memoria: e che ogni ricordo, ogni gesto della vita, ogni immagine (reale o allegorica chesia) si ritrovino immerse nei colori e nei suoni smorzati dell’autunno, della pioggia che “non ha mai lasciato questa città” e che avviluppa il mondo (e la sua vita interiore) tanto che “la sera va ad affogarsi nel lago”; che fa da sfondo e da sonoro al punto che la sua voce e quella dell’acqua (lacrime di amore e commozione) possono, nei sensi della figlia, perfino confondersi.
Dichiara, Shehi, la propria paura per la solitudine. Ma è così? O non piuttosto è amaro amore per la solitudine che lo ha spesso visitato e che teme/desidera per l’oggi e per il domani? Vero è che la tristezza del Poeta, aurea moneta pagata per essere poeta, la consapevolezza dell’impossibilità di essere felici e quindi dell’inganno inevitabile reso all’altro da sé (la donna amata, i figli, gli esseri più cari, la città), la tristezza che egli misura da ogni minimo ma palpabile evento (la caduta delle foglie, la voce degli uccelli “che sembrano le creature più sincere del globo”) è paura ma anche desiderio di solitudine, è “saper tacere/ per sciogliere la solitudine/ e adorare l’umana tristezza”.
Il silenzio, allora, “che rumoreggia per te/ogni volta che la sera suona con le dita commosse/sull’autunnale xilofono dei tetti...” è un silenzio/tramite, anzi unico messaggero possibile tra l’animo dolente del Poeta (e cioè di ogni Poeta) e i destinatari del suo amore (la donna, i figli, la propria terra..., e cioè il mondo).
Ecco: uno spleen lieve e devozionale, anima morbidamente questi versi di Shehi e ci conquista. Essi varcano oggi quel braccio di mare posto da millenni a separare ed unire la terra di Shqipëri e le prode greche e latine della nostra lingua e cultura: vadano col loro canto sommesso a confondersi con le voci dei crepuscolari poeti fratelli che qui, terra non due ma mille volte tradita, un’elegia dell’autunno e del crepuscolo tracciano ancora in qualche foglio volante o preziosa pagina di volenteroso libretto.

Mario Quattrucci


ARBEN SHEHI
''Tempo che non porta da nessuna parte"-
Poesie


L’ERBA DI CASA MIA

Si riversa il bianco latte lunare.
Sul contorno solitario della sera.
bambini in ritardo
tornano per la via della casa, taciturni.
Poggiano la loro gioia come scintilìo di stelle
sopra i fili d’erba,
lasciando la porta aperta come bocca muta.

Le lastre di pietre del vicolo
sciabordano piene di dolore.
Non ha piovuto, ma nel frattempo l’erba è cresciuta
pallida e stanca, dalla mancanza dei miei passi.
………………………………………………..

Mi ha cresciuto quest’aria.
quando soffiava la tramontana, e spesso mi è toccato
cercare i passi della primavera, che non so perché tardava
lassù nei precipizi del nord.

Eppure
mi sono sentito re su queste scale, sotto questi tetti,
tra nidi di colombe fatti da noi
e, che noi stessi custodivamo,

Mai non ho strappato pagine di libri,
le case da bambola di mia sorella,
disegni di cieli pieni di luce della mattina,
e strade senza limiti,
che sognavamo seppur verle viste mai.

Qual bianche nebbie vestite di sogni
apparivano Budi, Sheh Shamija, Mjeda, Dasho Shkreli …
Apparivano e subito volavano via. Lontano tra la magia della poesia,
e delle battaglie vinte da loro, ma non ebbero mai gli allori
soltanto perché appartenevano a questa città.

Nel mentre l’erba di casa mia è cresciuta. Alta e muta.

Scutari, aprile 2005

PREFAZIONE

Il mondo pesa e va presto.
Gira
sotto il peso degli umani,
non trovando mai riposo.

Qualcuno lo sostiene con il braccio,
qualcuno con la spalla.

Con la propria anima
La sostengono solo i poeti.


Settembre 1999

PAROLE PER ME STESSO

Pensi invano che troverai riposo.
E’troppo piccolo questo mondo per il tuo sogno.
Come tra le due sponde di un fiume
sbatte l’onda del cielo su una cima d’autunno
e va ad perdersi nel mare…

Qual foglia d’autunno scende una nebbia solitaria,
cadono giù le pioggie,
gli arcobaleni, i pomeriggi, sull’orlo del tuo dolore.
Ma garofani rossi spuntano e appassiscono
nei sorrisi dei bambini.

Perché mi hai fatto così, mio Dio?
Pieno di tormento, di tristezza, di speranza ,,,

Tu pensi invano che troverai riposo.
E’ troppo piccolo questo sogno per il tuo mondo.

Poiché tu sei rimasto poeta …

2007

ALLO SCUTARI DEI RE

Ah, tu Regina mia …

La magica infanzia delle fiabe.
Il socialismo tragicomico
e l’appannar continuo della tua fama.
Il crimine nelle notti dalla luna impaurita,
rintanata insieme agli omicidi
che tutte le acque intorno a Te non possono mondare.

Cosa hai fatto a tutti?!
Loro eternamente contro di te
Perché adoravi Bogdani, Fishta, Oso Kuka …?!
Ostile alla mediocrità, faceta, pugnalata alla schiena, generosa
Tu culto, sogno, eterno altare.

Ah, tu, Regina mia!
Rinata, e di nuovo uccisa il 2 aprile.

Aprile 2005

PERCHE CADONO QUESTA PIOGGIA

Stasera il cielo è tanto triste
e quest’autunno non può finire altrimenti che con la separazione,
mentre la sera va ad affogarsi nel lago.

Ma perché mai cadono tante piogge in questo luogo?

Saranno le anime delle ballate morte,
che girano per l’aria senza trovare una tomba per riposare.
Fantasmi di leggende pendono dalle nuvole.
si sforzano,
ma tuttavia non cancellano la tristezza di questa sera.

Oh, cosa non darei per vedere di nuovo lo splendore
di una volta
e anche la caduta irreversibile.

Sfortunatamente, forse, con tutte questa pioggia.

Castello di Scutari, 2004

A MIA MADRE

Si spegne lentamente mia madre,
qual fiamma di candela vacillano i suoi giorni.

Mi guarda in silenzio
e dagli occhi spenti
uno stormo di timidi uccelli
scende sul suo telaio del crepuscolo.

Qual ingiallita foglia d’autunno
trema la luce sui vetri assottigliati dagli anni
che possono incrinarsi da un momento all’altro.

……………………………………………..

Tra poco
Lei volerà insieme agli uccelli …

Aprile 2005

PREFINALE

Mai non ho pianto quando eri viva
davanti alla tua foto, mamma

Tu sei là
del tutto diversa,
come mai sei stata
da ché ti ricordo.

Più di due anni. Così
col sorriso irrigidito. Con la grazia
della perduta beltà.
Più di due anni che speri,
anche se mai si avvererà
il tuo sogno, la speranza che ci crebbe
… per ben quarantacinque anni …
………………………………………..
Papà non torna più. Era e se ne andò.
Diventò ricordo per tutti. Col ricordo
Tutti possono inorgoglirsi,
poiché gli apparteniamo,
ci appartiene …

Mai non ho pianto quando eri viva
davanti alla tua foto, mamma.

Agosto 2001

L’ADDIO DELLA MAMMA

Partì per una via senza ritorno,
ma all’improvviso, grazie a Dio,
è ritornata …

Ora viene piano nel mio studio,
battendo con la pesante stampella
e si siede vicino alla vetrata della veranda.
Mi domanda sui versi che scrivo,
mentre accarezza i libri di mio padre nella grande libreria..

Poi si smarrisce mirando i fiori
In questa soglia d’inverno
E gli uccelli che vanno e vengono
Nella sua infinita amicizia.

……………………………………..

Credo che quando Lei se ne andrà per davvero,
al suo posto rimarranno gli uccelli,
e i fiori sperduti,
per la mancanza dello sguardo che li cresceva …

Sul treno espresso Bratislava-Praga, novembre 2005

LA FELICITA’

Quando eravamo giovani,
sognavamo case belle,
bambini felici sotto la cupola del cielo
e il grande amore…

Oh, adesso è troppo tardi,
mi dispiace che insieme a me stesso ho ingannato pure te.

Tremo sotto la magica cupola della notte,
perforata dalla luce delle stelle
e dico tra me che comunque la felicità
deve restare nella penultima pagina dell’abbecedario.

2003

IL TUO SILENZIO, UNA CAMPANA CELESTE

Mi stanca la solitudine,
mi rattrista il silenzio degli altri.
Se rimango solo
quando avrò bisogno di avere accanto il passato
mi raccolgo e invecchio.
Senza dubbio deperisco.

Il tuo silenzio
una campana di cielo purpureo
che aspetta di annunciare il mattino.

Non lasciarmi aspettare,
Solo nel mio amore.
Se mi hai amato una volta.
ti prego
non gettarmi nel baratro della solitudine

Saper tacere,
per sciogliere la solitudine,
e adorare
l’umana tristezza.

Roma agosto 2001

AUTUNNO

Non dimenticare
L’autunno meraviglioso delle foglie,
quando ti aspettavo,
incanutito improvvisamente per la tristezza del tuo ritardo.

Pochi giorni dopo
ricominceranno le prime piogge.
Dietro i vetri, tra il magico vapore della separazione,
scorreranno le lacrime della pioggia sulle ultime lettere
del mio cognome.

Non posso cancellare
tutta questa nebbia
tra di noi.

COL MIO SILENZIO

Vengo col mio silenzio
diventato ballata per te.

Sul telaio della memoria
uccelli migratori d’autunno sono seduti,
sulle briciole del mio amore.

Da tanti anni
nevica e tuttavia la primavera
incoraggia i cieli e le acque,
che si sciolgono senza fine.

Ho viaggiato per tutti i cieli del mondo,
Però mai non son potuto ritornare,
senza il mio silenzio che rumoreggia per te,
ogni volta che la sera suona con le dita commosse
sull’autunnale xilofono dei tetti …

2005


E’ UNA PIOGGIA …

E’ una pioggia che scende rumorosamente.

Fuori suona il vento pomeridiano
sopra i tetti evanescenti della nebbia.

Può nevicare. Ma io
Ho voglia di te.
Non so perché mi sento solo,
accordando i violini della pioggia
qual bardo taciturno e solingo …

Ti ricordi i cupi fine settimana passati
col mio fiato
e quello tuo in una sola bocca?

Poi,
L’ultima domenica con te.
E una pioggia fuori
che scendeva dolosamente per noi due,
e per il calore passato del nostro respiro.

1983

A FILIP SHIROKA

Tutto sbiadisce davanti al tuo proverbiale fazzoletto.

Ho viaggiato per tutto il mondo,
su carovane di aerei come su groppe di cammelli stanchi,
quando percorrono i deserti che urlano il grido dell’oblio.
Ma da nessuna parte ho riscontrato il grido d’amore,
che la tua mano spandeva, verso cieli senza speranza,
su la tua lontananza.
…………………………………………

Quando ha albeggiato
Tu sei stato sempre sull’orlo del deserto e della speranza,
scuotendo il fazzoletto bagnato dalla nostalgia e dal dolore,
per le rose della città, spuntata dalla libertà murata
di una Donna tradita dalla propria gente …

Ho viaggiato per tutto il mondo …

Sopra il Mar’ Mediterraneo, marzo 2002


I PASSI DELLA PIOGGIA

La falce del fulmine squarciò di sbieco il cielo
E immediatamente ci fu tanta luce
per poter scorgere il tuo approssimarsi …

Senti i passi della pioggia
che si affretta a giungere prima di te,
nel parco coperto dalle foglie
ingiallite forse fino al dolore?

Una volta eravamo giovani …
……………………………………

Migliaia di volte ho mirato, mai sazio,
il vapore del tuo corpo femminile.

Ahimè, ora gli anni sono passati,
anche se la pioggia non ha cessato di cadere,
sempre uguale su di me e sui tuoi capelli …

E’ impossibile non bagnarsi
sotto questa pioggia lunare …

2005

MESSAGGIO

Fiorì di nuovo quel bianco garofano nel giardino della vecchia casa,
sull’ultima poesia scritta per questa Città ,
e lì per lì si fece giorno.

I tempi scappano rapidi senza girare la testa.

Non preoccuparti di me che credo sempre ai Poeti!
Perché la storia non la fanno mai i politici …

2004

FINALMENTE

Andrò finalmente a farmi vento.

Le pergamene aperte delle nuvole,
come la rosa piantata ultimamente,
stanno appassendo
dal ritardo dell’autunno della mia nascita.

Sulla soglia della memoria arrivano volute di nebbia,
i sogni orlati da antiche divinità
dal nome Afrodite, bello, come quello di mia mamma.

Andrò finalmente a farmi vento.
E non chiederò più altro destino.

2005

PLATONICA

E’ andato via anche questo autunno.

Gli alberi sono stanchi di aver perso le foglie,
e rimasti del tutto nudi
come nell’antica epoca del gioco – amore platonico.

Tu vieni a dirmi che ti manco come sempre,
e mi parli dell’autunno caduto accanto agli alberi insieme alle foglie.
Ah, il vento ugualmente si nasconde dietro gli alberi
spogli e bagnati,
come nelle prime notti quando ci conoscemmo,
con delle piogge bagnate e cadute insieme all’autunno.

Fischia il vento con le labbra arrossite,
felice e timido,
come un segnale di adolescenti,
improvvisamente innamorati platonicamente...

Forse là,
nascosto dietro gli alberi sta’ Platone in persona,
avvolto nella bianca tunica del suo amore sfortunato.

2005

SORRIDERO’ ALLA MORTE

A Ditika, mia moglie

Sorriderò alla morte della pioggia
e mi incamminerò ad accompagnare la mia morte annunziata
nell’altra vita senza te.
……………………………………

E’ tardi.
Sulle teste assonnate degli alberi fischia l’autunno,
magico e solitario.
Glieli pettina i capelli bagnati
con le dita tremanti dalla mancanza di luna.

Non temo più l’approssimar’ della morte con dei blitz di fulmini,
quali messaggeri di luce del bel tempo
che appare cosi all’improvviso dietro a loro..

Se spesso sono stato triste,
è successo perché sentivo che subito, dopo il silenzio
era l’avvicinamento della tua venuta e del magico tempo,
pieno di volute di uccelli,
e con l‘arcobaleno del tuo sorriso in mezzo.

Sorriderò alla mia morte,
e partirò per accompagnare la morte annunciata della pioggia
nell’altra vita con te …

Settembre 2006

SCRITTO SOLO PER MIA FIGLIA

Ci sono state solo tre Donne nella mia vita:
mia Madre,
La figlia di mia madre.
Tua madre …

Ora ci sei solo tu.
Fino alla mia ultima felicità,
come sempre ho sognato:
con la testa sulle tue mani e il mio respiro che ivi si spegna …

Senti fuori l’autunno
come fa cadere senza rumore le foglie e infiamma i tramonti?

Credimi, non è la pioggia che tintinna sui vetri rotti dal vento.

Apri la finestra,
dietro i vetri questa notte sono solo io,
diventato foglia per te,
bagnato e tremante dalla nostalgia,
come ho sempre sognato nella vita:
tra le tue mani piene del mio ultimo respiro...

Autunno 2006

LA META’ DEL SILENZIO

I gabbiani volano lo stesso,
sopra la schiuma del Mare.
Una piccola vela ribelle s’affaccia
e sparisce subito.
L’onda segue l’onda
fino alla riva,
ritorna
e il susseguirsi non ha fine.

Tutto è immerso nel mezzo silenzio,
nella mezza quiete, nella mezza verità.

Il mare non può capire
che l’altra metà del silenzio
sono le mie sponde deserte,
il partire massiccio da esse
la fuga, la prostituzione,
la solitudine …

La metà del silenzio,
È il dolore che urla
per l’altra sua metà …


Mar Ligure, Genova 2001

TEMPO CHE NON PORTA DA NESSUNA PARTE

...Commento per un pastello...

Vecchie barche rosseggiate dalla ruggine.
Senza alberi, senza marinai, senza bussola.
Vanno a tastoni sul mare oscuro.

Senza luci, senza fanali,
in mezzo a lampi di fulmini
che spaccano il buio
e lo lasciano mezzo morto sul mare.

Cadono, girano, se ne vanno …
da nessuna parte vanno.

Sulla sponda dirimpetto
Continuano sempre andare gli emigranti,
le puttane stanche,
i marinai con le reti mai piene …
………………………………

Questo tempo non porta più da nessuna parte.
Da nessuna parte puoi portare questo tempo.



In riva al mare, Sud dell’Albania, novembre 2002

ARBEN SHEHI - Poesie

ARBEN SHEHI

MOTIF INTIME

En vain tu crois pouvoir retrouver le repos.
Ce monde est trop petit pour contenir ton rêve.
Comme entre les rives d’une rivière,
la vague du ciel heurte une des cimes de l’automne
avant d’aller se noyer dans la mer.

Un brouillard solitaire s’étale comme une feuille morte.
Pluies, arcs-en-ciel et après-midis
tombent sur le fil de ta douleur,
mais des œillets rouges s’épanouissent et se fanent
comme un sourire d’enfant…

Mon Dieu, pourquoi m’as-tu ainsi fait,
rempli de chagrin, de mélancolie et d’espoir ?...

En vain tu crois pouvoir retrouver le repos.
Ce rêve est trop petit pour ton monde.

Car tu es resté poète…
2002

ET POURTANT…

Tu m’as toujours dit que je ressemble un peu à une mer
où naissent vagues, éclairs et tempêtes…
Je m’étais habitué à ton amour comme au lever du soleil
qui prend son départ d’un bout de ciel bleu.

A la brune je me hâtais d’appeler la pluie.

(Nos journées étaient remplies de pluies, de rêves
cachant des arcs-en-ciel derrière leur brouillard,
mais, après, nous avons eu du beau temps.)

Tu m’as toujours dit que je ressemble un peu à une mer :
Je vais d’un rivage à l’autre, mais jamais je ne dors.

Et pourtant… Et pourtant…

2002

À SHKODËR LA ROYALE

Ah, Toi, ma Reine !…

Mon enfance aux contes magiques.
Le socialisme tragi-comique
et ton renom allant toujours pâlissant.
Le crime perpétré les nuits de lune apeurée
puis caché en même temps que les criminels
aux mains tachées de sang que toutes les eaux autour de Toi
ne suffiraient pas à laver.

Qu’as-tu fait aux autres ?
Ils ont toujours été contre Toi,
Car tu as adoré Bogdani, Fishta, Oso Kuka…
Hostile aux médiocres, facétieuse, poignardée dans le dos, généreuse.
Erigée en culte, rêvée, autel de tous les temps.

Ah, Toi, ma Reine !
Renée et assassinée à nouveau un 2 avril…

Avril 2005

LA PLUIE DE CETTE VILLE

La pluie s’est toujours acharnée sur cette ville,
sinon je ne serais pas resté là.
J’ai froid ou j’ai honte.
La pudeur n’est plus une vertu de nos jours.

Mais pourquoi les oiseaux sont-ils rentrés de si loin ?

Sous le ciel cabossé de l’automne
la pluie accomplit sa tâche comme quatre mille ans auparavant
sur cette ville.

La pluie ne cesse de tomber,
mais Rozafa n’a jamais quitté cette ville.

2005

POURQUOI PLEUT-IL TELLEMENT ?

Le ciel est si affligé ce soir
et cet automne ne peut finir autrement que par une séparation,
alors que le crépuscule va se noyer dans le lac.

Pourquoi pleut-il tellement dans ce pays ?

Peut-être est-ce à cause des esprits des ballades mortes
qui tournent dans le vent faute d’une tombe où reposer.
Des fantômes de légendes restent suspendus sur la tête des nuages,
font un effort pour effacer la tristesse du soir
sans pourtant y arriver.

Ah ! que n’aurais-je donné pour revoir l’éclat d’antan
Et puis le déclin inéluctable de ce pays !

Malheureusement, peut-être, en dépit de toute cette pluie…

À la citadelle de Shkodër, 2004


MA MÈRE

Ma mère est en train de s’éteindre doucement.
Ses jours vacillent comme la flamme d’une bougie.

Elle me regarde en silence
et de ses yeux muets descend
une volée d’oiseaux timides
qui se posent sur le rebord de sa fenêtre donnant sur le couchant.

Telle une feuille à moitié morte en automne,
tremble la lumière sur les vitres amincies par les années,
prêtes à se fêler d’un moment à l’autre.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Bientôt
Elle s’envolera avec les oiseaux…

Avril 2005


CHARME

Je n’ai jamais pleuré
devant ta photo, maman.

C’est toi, là.
Toute différente,
telle que tu n’as jamais été
depuis que je te connais.

Il y a plus de deux ans. C’est ça.
Avec ton sourire figé. Sous le charme
de ta beauté d’autrefois.
Il y a plus de deux ans que tu espères ;
pourtant, ton rêve ne se réalisera jamais.
Ton rêve, tes espérances dont tu nous as nourris
pendant quarante-cinq ans…
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Papa ne reviendra plus. Il était là, il est parti.
Il est devenu un souvenir pour nous tous. Un souvenir
dont nous pouvons nous enorgueillir,
car nous lui appartenons,
car il nous appartient…

Je n’ai jamais pleuré
devant ta photo, maman.

Août 2001

L’AUTOMNE POUR TOI

Je voulais pour toi peindre l’automne
Aux kakis bien mûrs
Aux branches des arbres frêles
Ployant sous le poids de leurs fruits…

Dans la nuit le vent joue du xylophone
Sur les vitres des fenêtres à l’ancienne
De ma vieille maison.

Tu es toujours la merveille d’antan
Sans maquillage, en robe courte
Découvrant des genoux encore fragiles
Que ma main n’avait pas encore touchés.

J’ai toujours pensé que le printemps pousse l’hiver
Vers un abîme de pluies
Et de tourbillons de pétales d’abricotiers
Que le vent éparpille
Pour que les bourgeons se gonflent de sève.

Mais je ne sais pas ce qui m’a pris
De vouloir peindre l’automne pour toi,
Tout d’un coup, à peine le printemps fini.

Peut-être…, peut-être
Parce que je ne pouvais pas attendre
Que passe le temps nécessaire au fruit
Pour devenir juteux…

Février 2005

LE BONHEUR

Quand nous étions jeunes
nous rêvions d’avoir une jolie maison
pour nos enfants heureux sous le firmament
et pour notre grand amour…

Ah ! Maintenant il est trop tard.
Je regrette d’avoir menti et à toi, et à moi-même.

Je frémis sous la voûte magique de la nuit
transpercée par les étoiles scintillantes
et je me dis que, de toute façon, le bonheur
doit figurer à l’avant-dernière page d’un abécédaire.

2003


AVEC MON SILENCE

J’arrive avec mon silence
Devenue ballade pour toi.

Sur le rebord de ma mémoire
Les oiseaux migrateurs de l’automne picorent
Les miettes de ma nostalgie…

Depuis nombre d’années
Il neige et, pourtant, le printemps
Enhardit cieux et eaux
Qui coulent de partout.

J’ai voyagé sous tous les cieux du monde,
Mais je n’ai jamais pu rentrer
Sans mon silence qui bruit pour toi
Chaque fois que le crépuscule touche de ses doigts attendris
Le xylophone des toits en automne…

2005

C’EST UNE PLUIE

C’est une pluie qui tombe bruyamment.

Dehors, retentit l’air de l’après-midi
Sur les toits évanescents du brouillard.

Il se peut qu’il neige. Moi,
J’ai le mal de toi.
J’ignore pourquoi je me sens seul
Tout en accordant les violons de la pluie
Tel un chantre taciturne et solitaire…

Te rappelles-tu les mornes fins de semaine,
Ton haleine
Et la mienne dans une seule et même bouche ?

Puis,
Le dernier dimanche avec toi.
Et la pluie, dehors,
Qui tombait douloureusement pour nous deux
Et pour la chaleur d’antan de notre haleine.

1983


À FILIP SHIROKA

Tout s’estompe devant ton mouchoir proverbial…

J’ai voyagé partout dans le monde
Dans des avions comme à dos de chameaux fatigués
A travers des déserts qui crient en versant des larmes d’oubli.
Mais nulle part je n’ai vu autant de larmes, dues au mal du pays,
Que dans tes yeux, des larmes que ta main éparpillait
Vers des cieux désespérés au-dessus de ton exil.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

A chaque aube,
Tu t’es retrouvé entre désert et espoir,
Agitant ton mouchoir humide de nostalgie et de douleur
Pour les roses de ta ville née de la liberté emmurée
D’une Femme trahie par les siens…

J’ai voyagé partout dans le monde…

Au-dessus de la Méditerranée, mars 2002



LES PAS DE LA PLUIE

La faux d’un éclair a fendu obliquement le ciel
et aussitôt il y a eu assez de lumière
pour que je m’aperçoive que tu venais…

Entends-tu les pas de la pluie
qui se hâte de te précéder
dans le parc jonché de feuilles
mortes qui ont peut-être mal ?

Jadis, nous étions plus jeunes…
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Mille fois j’ai contemplé ton corps fumant,
et, à chaque fois, c’était tout aussi fascinant.

Hélas, les années sont passées.
Pourtant, il pleut toujours comme avant,
comme avant sur moi et sur tes cheveux…

Il est impossible que tu ne sois pas trempée
Sous cette pluie lunaire…

2005


ENFIN

J’irai enfin devenir comme le vent.

Les parchemins ouverts des nuages,
comme le rosier que j’ai planté récemment,
se fanent parce que l’automne de ton anniversaire est en retard.

Des nappes de brouillard flottent sur le seuil de ma mémoire,
autant de rêves esquissés par l’antique déesse
appelée Aphrodite, comme ma mère.

J’irai enfin devenir comme le vent,
et je ne demanderai plus un autre destin.

2005

VERS PLATONIQUES

L’automne vient de finir.

Les arbres, fatigués d’avoir perdu leurs feuilles,
en sont tout dépouillés
comme à l’époque révolue du jeu de l’amour platonique.

Tu viens me dire que je te manque
autant que l’automne tombé sous les arbres
en même temps que leurs feuilles.
Ah ! le vent se cache toujours derrière les arbres
dépouillés et mouillés
comme dans les nuits qui suivirent notre première rencontre,
remplies de pluies lourdes s’écroulant avec l’automne.

Heureux et timide,
le vent siffle avec ses lèvres rougies
un signal d’adolescents
en proie, brusquement, à l’amour platonique…

Peut-être que là-bas,
tout au fond, derrière les arbres, se tient Platon en personne,
portant la tunique blanche de son amour infortuné.

2005



JE SOURIRAI À LA MORT…

A Ditika , ma femme…

Je sourirai à la mort de la pluie
et je m’en irai conduire ma mort annoncée
dans une autre vie, sans toi.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Il se fait tard.
Au-dessus des têtes ensommeillées des arbres siffle l’automne,
magique et solitaire.
Il peigne leurs cheveux trempés
avec ses doigts tremblants à cause de la lune absente.

Je n’ai plus peur de l’approche de la mort aux éclairs éblouissants
Tels des messagers illuminés du beau temps
Qui surgit soudainement après eux.

Si j’ai souvent été triste,
c’est parce que je sentais aussitôt que le silence annonçait
ton arrivée et celle d’une époque enchantée
remplie de vols d’oiseaux obliques
avec, au milieu, l’arc-en-ciel de ton sourire.

Je sourirai à ma mort
et je m’en irai conduire la mort annoncée de la pluie
dans une autre vie, avec toi…

Septembre 2006

ÉCRIT UNIQUEMENT POUR MA FILLE

Il n’y a eu que trois Femmes dans ma vie :
Ma mère,
La fille de ma mère,
Ta mère…

Maintenant, il ne reste que toi…
Jusqu’à mon dernier moment heureux.
Tout comme je l’ai toujours rêvé :
Ma tête et mon souffle s’éteignant dans tes mains…

Entends-tu l’automne dehors
Qui fait tomber sans bruit les feuilles mortes
Et allume les couchers de soleil ?

Crois-moi, ce n’est pas la pluie qui pianote sur les vitres fêlées par le vent.

Ouvre la fenêtre,
Cette nuit, derrière les vitres il n’y a que moi
Devenu feuille morte pour toi,
Trempé et vibrant de tendresse,
Tout comme je l’ai toujours rêvé :
Entre tes mains remplies de mon dernier souffle…

Automne 2006


DEMI-SILENCE

Les mouettes s’élèvent comme toujours
au-dessus de l’écume de la Mer.
Une petite voile rebelle surgit
pour disparaître aussitôt.
Chaque vague poursuit l’autre
jusqu’au rivage,
revient
pour repartir sans tarder.

Tout plonge dans un demi-silence,
dans un demi-calme, une demi-vérité.
La mer ne peut pas comprendre
Que l’autre demi-silence
est la désolation de mes rivages à moi
que tout le monde fuit :
paumés, prostituées,
solitaires…

Un demi-silence
est un cri douloureux
pour son autre moitié…

En mer ligurienne, Gêne 2001


UN TEMPS POUR NULLE PART

…Commentaire pour un pastel

Des vieilles barques colorées par la rouille.
Pas de mâts, pas de marins, pas de boussoles.
Elles vont au petit bonheur sur la mer ténébreuse.

Sans lanternes, ni lumière aucune.
A travers des éclairs coupants comme des haches,
Qui fendent l’obscurité et la laissent sur la mer
A moitié morte.

Elles s’en vont, tournoient, fuient
Pour aller nulle part.

Sur le rivage d’en face
Il y a toujours des gens qui émigrent,
Des putains fatiguées,
Des pêcheurs aux filets toujours vides…
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ce temps ne mène plus nulle part.
Nulle part on ne peut mener ce temps.

Sur le littoral sud de l’Albanie, novembre 2002


À MON FILS

… un autre esprit,
un autre temps
feront ce Pays.

Moi,
je ne serai plus là pour peser sur cette terre.

Mais toi,
c’est alors seulement
que tu comprendras la fatalité des parents…

Munich-Tirana, septembre 2008


L’ICÔNE D’UN PÈRE HEUREUX…

À Livia, ma fille…
Bonjour, mon icône.
Depuis quelques semaines tu n’es plus près de moi,
je ne te vois donc plus dorer chaque instant et chaque point de l’espace…

Maintenant, je marche sur tes pas dans la rue où tu es passée,
légère et toute de lumière,
de peur de rêver de ton éloignement.

Le temps passe avec toi, mais moi,
je ne voudrais pas mourir en ton absence…
Pourtant, même si Cela devait arriver un jour,
j’ouvrirais d’abord ma fenêtre pour entendre la pluie nostalgique
jouer du xylophone
sur tes pas dorés par ton monde lointain tout lumineux.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

C’est étrange, un jour vient où icônes magiques
et pères sourient pour s’attendrir aussitôt…

Paris, septembre 2006


Perkthyer ne frengjisht nga Edmond Tupja.