''Tempo che non porta da nessuna parte"- Poesie Arben Shehi


''Tempo che non porta da nessuna parte"- Poesie ARBEN SHEHI


Presentazione:
Mario Quatrucci (Robin Edizioni-2012)

http://www.libreriaprogetto.it/home/help/cerca-libro/scheda libro. html&ISBN =9788873719328

Dalla prima pagina, e poi quasi ad apertura di pagina, questa quarta raccolta di versi di Arben Shehi fa sentire il respiro del suo leitmotiv e squaderna il suo cuore: la nostalgia.
È un’elegia del tempo che fugge e che, come dirà nell’epilogo, appare senza scopo, senza alcun possibile avvento. Ed è la nostalgia del Poeta – del Poeta Shehi che parla ricorda e soffre in nome di tutti i Poeti della sua lingua e del mondo – per la sua terra perduta e per il suo amore che, senza morire, si disfa nel tempo privo di aspettative e di meta.
In realtà Shehi, voce vitale dell’Albania succeduta a quello “scherno di socialismo” che fu l’Albania di Enver Hoxha, e protagonista della vita culturale e politica dell’odierna democrazia, non è un esule che viva una disperata condizione di assenza e privazione: la sua terra è una patria perduta perché incompiuto è il suo sogno, perché l’esperienza della storia ha così deluso e tradito la sua speranza da lasciarlo, in solitudine e malinconia, col suo solo amore “senza limiti e speranze”. Così malinconico e solo da avere nostalgia perfino per il proprio dolore.
Impersonata volta a volta dalla città di Scutari (evidente allegoria di tutte le patrie del mondo) due volte tradita, o dalla sua donna e dal suo amore (richiamato sempre da un passato spesso remoto), o dai suoi figli, o dalla madre e dal padre, è la sua vita di uomo e di poeta che egli sente – a questo passaggio cruciale del tempo che gli è dato di vivere (nato nel ’54 Shehi si trova al culmine della propria esistenza) –, così come il tempo del mondo, non portare (perché non può) “da nessuna parte”: “Sul velo non più vergine del lago/dormono tristemente i pescatori./Con le reti vuote dalla notte assassina”.
Il suo dialogo con la morte, perciò, non è il drammatico o cupo o stoico commiato di uno che senta imminente l’evento al termine di una lotta furibonda con la vita e i suoi demoni ma, appunto, il malinconico rimpianto, la rêverie inestinguibile, per l’ombra autunnale in cui visse e vivrà, e che nessuna luce, né d’astro né di bachelardiana candela, ha potuto e potrà diradare. E per le cose che quell’ombra abitarono ed affollarono.
È il crepuscolo, dunque, l’argomento e la forma della poesia di Shehi: un crepuscolo che l’accompagna fin dalla giovinezza e, senza addensarsi e volgere al buio, permane. E non è quindi un caso che tutto nei suoi versi avvenga – tutto ciò che è rilevante per la sua anima, naturalmente – come memoria: e che ogni ricordo, ogni gesto della vita, ogni immagine (reale o allegorica chesia) si ritrovino immerse nei colori e nei suoni smorzati dell’autunno, della pioggia che “non ha mai lasciato questa città” e che avviluppa il mondo (e la sua vita interiore) tanto che “la sera va ad affogarsi nel lago”; che fa da sfondo e da sonoro al punto che la sua voce e quella dell’acqua (lacrime di amore e commozione) possono, nei sensi della figlia, perfino confondersi.
Dichiara, Shehi, la propria paura per la solitudine. Ma è così? O non piuttosto è amaro amore per la solitudine che lo ha spesso visitato e che teme/desidera per l’oggi e per il domani? Vero è che la tristezza del Poeta, aurea moneta pagata per essere poeta, la consapevolezza dell’impossibilità di essere felici e quindi dell’inganno inevitabile reso all’altro da sé (la donna amata, i figli, gli esseri più cari, la città), la tristezza che egli misura da ogni minimo ma palpabile evento (la caduta delle foglie, la voce degli uccelli “che sembrano le creature più sincere del globo”) è paura ma anche desiderio di solitudine, è “saper tacere/ per sciogliere la solitudine/ e adorare l’umana tristezza”.
Il silenzio, allora, “che rumoreggia per te/ogni volta che la sera suona con le dita commosse/sull’autunnale xilofono dei tetti...” è un silenzio/tramite, anzi unico messaggero possibile tra l’animo dolente del Poeta (e cioè di ogni Poeta) e i destinatari del suo amore (la donna, i figli, la propria terra..., e cioè il mondo).
Ecco: uno spleen lieve e devozionale, anima morbidamente questi versi di Shehi e ci conquista. Essi varcano oggi quel braccio di mare posto da millenni a separare ed unire la terra di Shqipëri e le prode greche e latine della nostra lingua e cultura: vadano col loro canto sommesso a confondersi con le voci dei crepuscolari poeti fratelli che qui, terra non due ma mille volte tradita, un’elegia dell’autunno e del crepuscolo tracciano ancora in qualche foglio volante o preziosa pagina di volenteroso libretto.

Mario Quattrucci


ARBEN SHEHI
''Tempo che non porta da nessuna parte"-
Poesie


L’ERBA DI CASA MIA

Si riversa il bianco latte lunare.
Sul contorno solitario della sera.
bambini in ritardo
tornano per la via della casa, taciturni.
Poggiano la loro gioia come scintilìo di stelle
sopra i fili d’erba,
lasciando la porta aperta come bocca muta.

Le lastre di pietre del vicolo
sciabordano piene di dolore.
Non ha piovuto, ma nel frattempo l’erba è cresciuta
pallida e stanca, dalla mancanza dei miei passi.
………………………………………………..

Mi ha cresciuto quest’aria.
quando soffiava la tramontana, e spesso mi è toccato
cercare i passi della primavera, che non so perché tardava
lassù nei precipizi del nord.

Eppure
mi sono sentito re su queste scale, sotto questi tetti,
tra nidi di colombe fatti da noi
e, che noi stessi custodivamo,

Mai non ho strappato pagine di libri,
le case da bambola di mia sorella,
disegni di cieli pieni di luce della mattina,
e strade senza limiti,
che sognavamo seppur verle viste mai.

Qual bianche nebbie vestite di sogni
apparivano Budi, Sheh Shamija, Mjeda, Dasho Shkreli …
Apparivano e subito volavano via. Lontano tra la magia della poesia,
e delle battaglie vinte da loro, ma non ebbero mai gli allori
soltanto perché appartenevano a questa città.

Nel mentre l’erba di casa mia è cresciuta. Alta e muta.

Scutari, aprile 2005

PREFAZIONE

Il mondo pesa e va presto.
Gira
sotto il peso degli umani,
non trovando mai riposo.

Qualcuno lo sostiene con il braccio,
qualcuno con la spalla.

Con la propria anima
La sostengono solo i poeti.


Settembre 1999

PAROLE PER ME STESSO

Pensi invano che troverai riposo.
E’troppo piccolo questo mondo per il tuo sogno.
Come tra le due sponde di un fiume
sbatte l’onda del cielo su una cima d’autunno
e va ad perdersi nel mare…

Qual foglia d’autunno scende una nebbia solitaria,
cadono giù le pioggie,
gli arcobaleni, i pomeriggi, sull’orlo del tuo dolore.
Ma garofani rossi spuntano e appassiscono
nei sorrisi dei bambini.

Perché mi hai fatto così, mio Dio?
Pieno di tormento, di tristezza, di speranza ,,,

Tu pensi invano che troverai riposo.
E’ troppo piccolo questo sogno per il tuo mondo.

Poiché tu sei rimasto poeta …

2007

ALLO SCUTARI DEI RE

Ah, tu Regina mia …

La magica infanzia delle fiabe.
Il socialismo tragicomico
e l’appannar continuo della tua fama.
Il crimine nelle notti dalla luna impaurita,
rintanata insieme agli omicidi
che tutte le acque intorno a Te non possono mondare.

Cosa hai fatto a tutti?!
Loro eternamente contro di te
Perché adoravi Bogdani, Fishta, Oso Kuka …?!
Ostile alla mediocrità, faceta, pugnalata alla schiena, generosa
Tu culto, sogno, eterno altare.

Ah, tu, Regina mia!
Rinata, e di nuovo uccisa il 2 aprile.

Aprile 2005

PERCHE CADONO QUESTA PIOGGIA

Stasera il cielo è tanto triste
e quest’autunno non può finire altrimenti che con la separazione,
mentre la sera va ad affogarsi nel lago.

Ma perché mai cadono tante piogge in questo luogo?

Saranno le anime delle ballate morte,
che girano per l’aria senza trovare una tomba per riposare.
Fantasmi di leggende pendono dalle nuvole.
si sforzano,
ma tuttavia non cancellano la tristezza di questa sera.

Oh, cosa non darei per vedere di nuovo lo splendore
di una volta
e anche la caduta irreversibile.

Sfortunatamente, forse, con tutte questa pioggia.

Castello di Scutari, 2004

A MIA MADRE

Si spegne lentamente mia madre,
qual fiamma di candela vacillano i suoi giorni.

Mi guarda in silenzio
e dagli occhi spenti
uno stormo di timidi uccelli
scende sul suo telaio del crepuscolo.

Qual ingiallita foglia d’autunno
trema la luce sui vetri assottigliati dagli anni
che possono incrinarsi da un momento all’altro.

……………………………………………..

Tra poco
Lei volerà insieme agli uccelli …

Aprile 2005

PREFINALE

Mai non ho pianto quando eri viva
davanti alla tua foto, mamma

Tu sei là
del tutto diversa,
come mai sei stata
da ché ti ricordo.

Più di due anni. Così
col sorriso irrigidito. Con la grazia
della perduta beltà.
Più di due anni che speri,
anche se mai si avvererà
il tuo sogno, la speranza che ci crebbe
… per ben quarantacinque anni …
………………………………………..
Papà non torna più. Era e se ne andò.
Diventò ricordo per tutti. Col ricordo
Tutti possono inorgoglirsi,
poiché gli apparteniamo,
ci appartiene …

Mai non ho pianto quando eri viva
davanti alla tua foto, mamma.

Agosto 2001

L’ADDIO DELLA MAMMA

Partì per una via senza ritorno,
ma all’improvviso, grazie a Dio,
è ritornata …

Ora viene piano nel mio studio,
battendo con la pesante stampella
e si siede vicino alla vetrata della veranda.
Mi domanda sui versi che scrivo,
mentre accarezza i libri di mio padre nella grande libreria..

Poi si smarrisce mirando i fiori
In questa soglia d’inverno
E gli uccelli che vanno e vengono
Nella sua infinita amicizia.

……………………………………..

Credo che quando Lei se ne andrà per davvero,
al suo posto rimarranno gli uccelli,
e i fiori sperduti,
per la mancanza dello sguardo che li cresceva …

Sul treno espresso Bratislava-Praga, novembre 2005

LA FELICITA’

Quando eravamo giovani,
sognavamo case belle,
bambini felici sotto la cupola del cielo
e il grande amore…

Oh, adesso è troppo tardi,
mi dispiace che insieme a me stesso ho ingannato pure te.

Tremo sotto la magica cupola della notte,
perforata dalla luce delle stelle
e dico tra me che comunque la felicità
deve restare nella penultima pagina dell’abbecedario.

2003

IL TUO SILENZIO, UNA CAMPANA CELESTE

Mi stanca la solitudine,
mi rattrista il silenzio degli altri.
Se rimango solo
quando avrò bisogno di avere accanto il passato
mi raccolgo e invecchio.
Senza dubbio deperisco.

Il tuo silenzio
una campana di cielo purpureo
che aspetta di annunciare il mattino.

Non lasciarmi aspettare,
Solo nel mio amore.
Se mi hai amato una volta.
ti prego
non gettarmi nel baratro della solitudine

Saper tacere,
per sciogliere la solitudine,
e adorare
l’umana tristezza.

Roma agosto 2001

AUTUNNO

Non dimenticare
L’autunno meraviglioso delle foglie,
quando ti aspettavo,
incanutito improvvisamente per la tristezza del tuo ritardo.

Pochi giorni dopo
ricominceranno le prime piogge.
Dietro i vetri, tra il magico vapore della separazione,
scorreranno le lacrime della pioggia sulle ultime lettere
del mio cognome.

Non posso cancellare
tutta questa nebbia
tra di noi.

COL MIO SILENZIO

Vengo col mio silenzio
diventato ballata per te.

Sul telaio della memoria
uccelli migratori d’autunno sono seduti,
sulle briciole del mio amore.

Da tanti anni
nevica e tuttavia la primavera
incoraggia i cieli e le acque,
che si sciolgono senza fine.

Ho viaggiato per tutti i cieli del mondo,
Però mai non son potuto ritornare,
senza il mio silenzio che rumoreggia per te,
ogni volta che la sera suona con le dita commosse
sull’autunnale xilofono dei tetti …

2005


E’ UNA PIOGGIA …

E’ una pioggia che scende rumorosamente.

Fuori suona il vento pomeridiano
sopra i tetti evanescenti della nebbia.

Può nevicare. Ma io
Ho voglia di te.
Non so perché mi sento solo,
accordando i violini della pioggia
qual bardo taciturno e solingo …

Ti ricordi i cupi fine settimana passati
col mio fiato
e quello tuo in una sola bocca?

Poi,
L’ultima domenica con te.
E una pioggia fuori
che scendeva dolosamente per noi due,
e per il calore passato del nostro respiro.

1983

A FILIP SHIROKA

Tutto sbiadisce davanti al tuo proverbiale fazzoletto.

Ho viaggiato per tutto il mondo,
su carovane di aerei come su groppe di cammelli stanchi,
quando percorrono i deserti che urlano il grido dell’oblio.
Ma da nessuna parte ho riscontrato il grido d’amore,
che la tua mano spandeva, verso cieli senza speranza,
su la tua lontananza.
…………………………………………

Quando ha albeggiato
Tu sei stato sempre sull’orlo del deserto e della speranza,
scuotendo il fazzoletto bagnato dalla nostalgia e dal dolore,
per le rose della città, spuntata dalla libertà murata
di una Donna tradita dalla propria gente …

Ho viaggiato per tutto il mondo …

Sopra il Mar’ Mediterraneo, marzo 2002


I PASSI DELLA PIOGGIA

La falce del fulmine squarciò di sbieco il cielo
E immediatamente ci fu tanta luce
per poter scorgere il tuo approssimarsi …

Senti i passi della pioggia
che si affretta a giungere prima di te,
nel parco coperto dalle foglie
ingiallite forse fino al dolore?

Una volta eravamo giovani …
……………………………………

Migliaia di volte ho mirato, mai sazio,
il vapore del tuo corpo femminile.

Ahimè, ora gli anni sono passati,
anche se la pioggia non ha cessato di cadere,
sempre uguale su di me e sui tuoi capelli …

E’ impossibile non bagnarsi
sotto questa pioggia lunare …

2005

MESSAGGIO

Fiorì di nuovo quel bianco garofano nel giardino della vecchia casa,
sull’ultima poesia scritta per questa Città ,
e lì per lì si fece giorno.

I tempi scappano rapidi senza girare la testa.

Non preoccuparti di me che credo sempre ai Poeti!
Perché la storia non la fanno mai i politici …

2004

FINALMENTE

Andrò finalmente a farmi vento.

Le pergamene aperte delle nuvole,
come la rosa piantata ultimamente,
stanno appassendo
dal ritardo dell’autunno della mia nascita.

Sulla soglia della memoria arrivano volute di nebbia,
i sogni orlati da antiche divinità
dal nome Afrodite, bello, come quello di mia mamma.

Andrò finalmente a farmi vento.
E non chiederò più altro destino.

2005

PLATONICA

E’ andato via anche questo autunno.

Gli alberi sono stanchi di aver perso le foglie,
e rimasti del tutto nudi
come nell’antica epoca del gioco – amore platonico.

Tu vieni a dirmi che ti manco come sempre,
e mi parli dell’autunno caduto accanto agli alberi insieme alle foglie.
Ah, il vento ugualmente si nasconde dietro gli alberi
spogli e bagnati,
come nelle prime notti quando ci conoscemmo,
con delle piogge bagnate e cadute insieme all’autunno.

Fischia il vento con le labbra arrossite,
felice e timido,
come un segnale di adolescenti,
improvvisamente innamorati platonicamente...

Forse là,
nascosto dietro gli alberi sta’ Platone in persona,
avvolto nella bianca tunica del suo amore sfortunato.

2005

SORRIDERO’ ALLA MORTE

A Ditika, mia moglie

Sorriderò alla morte della pioggia
e mi incamminerò ad accompagnare la mia morte annunziata
nell’altra vita senza te.
……………………………………

E’ tardi.
Sulle teste assonnate degli alberi fischia l’autunno,
magico e solitario.
Glieli pettina i capelli bagnati
con le dita tremanti dalla mancanza di luna.

Non temo più l’approssimar’ della morte con dei blitz di fulmini,
quali messaggeri di luce del bel tempo
che appare cosi all’improvviso dietro a loro..

Se spesso sono stato triste,
è successo perché sentivo che subito, dopo il silenzio
era l’avvicinamento della tua venuta e del magico tempo,
pieno di volute di uccelli,
e con l‘arcobaleno del tuo sorriso in mezzo.

Sorriderò alla mia morte,
e partirò per accompagnare la morte annunciata della pioggia
nell’altra vita con te …

Settembre 2006

SCRITTO SOLO PER MIA FIGLIA

Ci sono state solo tre Donne nella mia vita:
mia Madre,
La figlia di mia madre.
Tua madre …

Ora ci sei solo tu.
Fino alla mia ultima felicità,
come sempre ho sognato:
con la testa sulle tue mani e il mio respiro che ivi si spegna …

Senti fuori l’autunno
come fa cadere senza rumore le foglie e infiamma i tramonti?

Credimi, non è la pioggia che tintinna sui vetri rotti dal vento.

Apri la finestra,
dietro i vetri questa notte sono solo io,
diventato foglia per te,
bagnato e tremante dalla nostalgia,
come ho sempre sognato nella vita:
tra le tue mani piene del mio ultimo respiro...

Autunno 2006

LA META’ DEL SILENZIO

I gabbiani volano lo stesso,
sopra la schiuma del Mare.
Una piccola vela ribelle s’affaccia
e sparisce subito.
L’onda segue l’onda
fino alla riva,
ritorna
e il susseguirsi non ha fine.

Tutto è immerso nel mezzo silenzio,
nella mezza quiete, nella mezza verità.

Il mare non può capire
che l’altra metà del silenzio
sono le mie sponde deserte,
il partire massiccio da esse
la fuga, la prostituzione,
la solitudine …

La metà del silenzio,
È il dolore che urla
per l’altra sua metà …


Mar Ligure, Genova 2001

TEMPO CHE NON PORTA DA NESSUNA PARTE

...Commento per un pastello...

Vecchie barche rosseggiate dalla ruggine.
Senza alberi, senza marinai, senza bussola.
Vanno a tastoni sul mare oscuro.

Senza luci, senza fanali,
in mezzo a lampi di fulmini
che spaccano il buio
e lo lasciano mezzo morto sul mare.

Cadono, girano, se ne vanno …
da nessuna parte vanno.

Sulla sponda dirimpetto
Continuano sempre andare gli emigranti,
le puttane stanche,
i marinai con le reti mai piene …
………………………………

Questo tempo non porta più da nessuna parte.
Da nessuna parte puoi portare questo tempo.



In riva al mare, Sud dell’Albania, novembre 2002

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